Il punto della situazione

Quindi siamo qui che aspettiamo di capire cosa succederà. Ci aspettiamo un nuovo lockdown. In Lombardia abbiamo un coprifuoco. Anche altrove, mi dicono. D’altronde non possiamo avere l’unico governatorato imbecille. No? (tranquilli che imbecilli come i nostri non ce ne sono proprio tantissimi, abbiamo ancora il primato. E siamo destinati a tenercelo per secoli).

I teatri e i cinema sono chiusi.

Non si può andare nei bar dopo le 18 ma si può prendere cibo e alcol da asporto. E almeno qui in Lombardia non era così scontato perché la premiata ditta Fontana&Gallera aveva stabilito, all’inizio, che non si potesse acquistare alcol da asporto dopo le 18. Per qualche giorno se volevi ubriacarti o anche solo procurarti una bottiglia di vino al supermercato dovevi andarci entro le 17:59. Sennò in cassa non te lo facevano passare. Lo so perché ci sono prove che si fanno empiricamente. Siamo entrati in un supermercato per comprare alcol alle 17:50 la prima domenica dopo il provvedimento provvisorio. Ci hanno fatto comprare l’alcol. Alle 18:01 siamo rientrati, dopo aver posato prudentemente l’alcol in un luogo sicuro (leggi: il bagagliaio). C’era il nastro bianco e rosso a impedire l’ingresso al settore alcol dell’Iper.

Dopo quattro giorni hanno deciso il coprifuoco alle 23 e hanno concesso la vendita di alcol anche da asporto. Basta che non vai nei pub. E nemmeno per strada, eh. Perché in Lombardia abbiamo il divieto di consumo di alcol e cibo nei pressi dei locali e pure nei parchi e in altri luoghi pubblici. Poi mi direte se non sembra un modo per introdurre l’ennesima norma contro i poveri, visto che sono loro quelli che di notte potrebbero stare in giro a mangiare e bere. Quelli che non hanno un tetto, per essere chiari.

Va detto che ci sono autocertificazioni che in caso di necessità consentono di aggirare la norma. Sono per gente che lavora. Che rientra alla sua dimora. Si spera pure per quelli che devono andare al pronto soccorso di corsa. Occhio perché se andate al pronto soccorso non potete sperare che chi vi accompagna rimanga ad aspettarvi. Non è possibile. Proibito. State lì da soli. Senza un conforto. Io ve lo dico, eh. Sperate che non vi succeda nulla di grave perché oltre al danno di dover andare in ospedale vi ritrovate anche la sgradevole sensazione di dovervi arrangiare da soli senza un cane che vi conforti mentre attendete le cure. E non è divertente, stare al pronto soccorso da soli. Lo so perché a Roma mi è capitato di doverlo fare. Non per norme anticovid. Perché ero da sola. Ecco, prenderesti la testa e la sbatteresti contro il muro.

Manco chi è in ospedale in attesa di un’operazione può ricevere le visite dei parenti. Fino a metà ottobre poteva andare una sola persona convivente, adesso non può andare più nessuno.

Insomma, mi raccomando, la sera dopo le 23 state chiusi in casa che il Covid vi aspetta dietro l’angolo appena uscite dal portone. A meno che non abbiate l’autocertificazione. In quel caso state tranquilli che il covid non vi attacca. Se ne va con la coda tra le gambe.

D’altronde non lo beccate nemmeno dalle 06:01 alle 22:59 perché si sa che il covid rispetta le leggi regionali.

Quindi se prendete i mezzi intasati all’ora di punta quando ci sono i pendolari (perché loro, lo smartworking, possono farlo e non farlo. Invece gli studenti delle superiori no, loro fanno il 75% delle ore in DAD, pazienza se le scuole sono i luoghi dove i contagi arrivano al 3,5? 3,8? Non ricordo la percentuale, ma non pare proprio che siano le scuole il vero problema. O i cinema e i teatri dove comunque non entra praticamente nessuno) potete stare tranquilli perché il Covid si spaventa appena è giorno, sarà tipo i Gremlins, non dovete dargli da mangiare dopo le 23.

Non si può fare sport di contatto. No calcio. No basket. No pallavolo. A meno che non siate professionisti. Perché se siete professionisti si sa che il Covid vi risparmia. Non è vero ma non importa. Vi risparmia.

Niente palestre. Niente piscina. Mi raccomando.

Quindi cosa si può fare?

Nei musei, potete andare. Anche se ve lo sconsigliano. Però li hanno lasciati aperti. Però non dovete fare cose che non sono necessarie, spostamenti il più possibile ridotti. Quindi andateci con la metropolvere, nei musei. Smaterializzatevi. Ah, non siamo nel mondo della magia. Siamo babbani. E allora è un bel problema. Se sono aperti e non necessari come ci si va nei musei senza turbare la quiete di chi non vuole vedere in giro gente che va a bighellonare sui mezzi perché si sa che i mezzi vanno usati solo per andare al lavoro (tutti insieme stretti stretti alle ore di punta)? Si vede che sono diventati una necessità.

Potete andare in bici, o correre. Da soli. A distanza.

Però se andate in bici occhio alle sciure in auto che tirano già il finestrino e vi dicono che non dovete andare in bici perché se vi fate male togliete posti a qualcuno in ospedale che ne ha bisogno. Mi raccomando.

Potete andare a messa. Sì, perché a messa il distanziamento è lo stesso ce c’è nei teatri e nei cinema, ma lì l’assembramento non vale. Perché siete protetti dalla benedizione divina. Quindi con la mano di Dio sulla testa state pure tranquilli che il virus non vi colpisce.

A proposito. La scorsa settimana è mancato il nostro parroco. Era anziano. Ha preso il Covid. Ha contagiato un altro po’ di preti e pure i fratelli. E poi è mancato. Pace all’anima sua (scusa, don. Ti ho voluto bene, a parte quando non mi volevi far fare la chierichetta).

Alla fine qui non si sa bene cosa succederà d’altro perché siamo sempre in sospeso in attesa delle nuove decisioni di Conte.

Però a parte i provvedimenti che, confesso, dopo tutti questi mesi a osservare ormai non capisco più, perché a volte non hanno davvero senso, ma non posso dirlo a voce alta perché arriva qualcuno a dirmi che sono negazionista oppure che non mi frega niente se muoiono 500000 persone o che voglio un nuovo lockdown (chissà cos’è questo, in effetti, se non è un lockdown gli somiglia molto), mi preoccupa quello che rimarrà dopo.

Stiamo creando un mondo in cui vige la paura del prossimo. Stiamo imparando, se già non eravamo misantropi sociopatici prima, a non toccare più nessuno, a non fidarci di nessuno, a dare degli incosienti a quelli che osano fare cose che prima di marzo scorso erano normali. Come uscire di casa, fare cose che ci fanno stare bene mentalmente, vedere i nostri amici e parenti, stiamo imparando che l’unica salute da preservare è quella fisica a costo di quella mentale.

Stiamo cominciando a rispondere a chiunque ci dica che ha difficoltà economiche che gli impediscono anche di campare in modo decente (e questo si aggiunge all’emergenza sanitaria creata dalla pandemia) che la cosa che conta di più è rimanere vivi. Quando per anni abbiamo continuato a ripetere che a contare non è solo vivere ma la qualità della tua vita. Campare senza sapere come pagare l’affitto, il mutuo, la spesa, le rate dell’auto, quello che serve per i tuoi figli che crescono, le cose più sempici come il cibo, un paio di scarpe nuove, un cappotto, cose così, quello non conta. Conta essere vivi. in malora ma vivi. Senza un tetto ma vivi. Depressi ma vivi. Senza prospettive sul futuro ma vivi.

Parlavo ieri con la mia psicologa, mi diceva che durante il primo lockdown avevano un sacco di richieste di persone mai in cura prima perché avevano bisogno di un supporto.

Ora la gente non li contatta più- Perché non sa cosa succederò tra poco e non riesce a immaginarsi una prospettiva di futuro che implica lo stare bene mentalmente nel presente. Perché quando non sai come camperai il mese prossimo rimandi tutto quello che non ti sembra urgente. La salute mentale è la prima cosa che rimandi. Poi viene la salute fisica. I denti. La vista. Tutto ciò che non percepisci come necessario nell’immediato. Sono cose che non pensi quando hai ancora uil culo parato e uno stipendio perchè il tuo lavoro esiste ancora. Se il tuo lavoro non c’è queste cose divemtano secondarie. Perché te lo stanno dicendo in tutti i modi. Non sono cose che ti servono al momento per sopravvivere. Sono superflue.

Stiamo insegnando ai bambini a stare a distanza. Non vedono i loro amici, da tanto tempo. Solo a scuola. E solo fino a una certa età. Gli adolescenti sono in DAD. Con tutto ciò che ne consegue. No sport. No uscite non necessarie. No giochi al parco, non sono proibiti ma ci sono genitori che non li mandano al parco per prudenza. Sacrosanta, eh. non si può prendere in giro la paura della gente. Ma ci vanno di mezzo quelli in fase evolutiva. Quelli che hanno bisogno di imparare a stare in mezzo agli altri per giocare, confrontarsi, imparare a cavarsela in mezzo al prossimo. Anche litigare, volendo.

A furia di ripetere che tanto i bambini e gli adolescenti sono in grado di resistere un sacco di persone che non hanno a che fare con loro tutti i giorni hanno finito per crederci.

Ragazzi, è diventato un problema innamorarsi. Sembra una pericolosa forma di ribellione. Di incoscienza. Perché non puoi tccare qualcuno. Magari sconosciuto. Mai visto prima. Non sai dove va, dove è stato, se è contagiato. Può succedere che se dici che stai vedendo qualcuno ti trattano come se tu fossi già infetto. Non sto scherzando. Quando racconti a una persona che sta a un metro di distanza da te che stai uscendo con qualcuno e lei si sposta ulteriormente perché ha paura che tu abbia qualche malattia infettiva, ti chiedi cosa cazzo sta succedendo al mondo. Perché vieni trattato da delinquente per le cose che sono alla base dell’esistenza umana. Socialità, relazioni, intimità, queste cose qui.

Tra qualche anno rileggeremo le discussioni avute in questo periodo. Come ci sentiremo quando ci renderemo conto che abbiamo chiamato delinquenti irresponsabili persone che volevano solo poter uscire di casa e fare una passeggiata o chiedevano di poter lavorare, perché ne avevano bisogno?

Ah, tutte queste cose non si possono dire, a meno di non farsi chiamare negazionisti o complottisti. Non si possono desiderare cose semplici come una passeggiata, non si deve criticare nessun provvedimento del governo, che poveretto non ha altre soluzioni, e potremmo andarci noi visto che siamo così bravi (e come sempre qui c’è il solito problema per cui esiste il diritto di critica e di opinione, e la democrazia è fatta anche delle critiche del popolo. Ma chissà come mai questa parte ce la scordiamo sempre. Me la scordo anche io).

Ecco, dopo mesi a fare tutto quello che mi è stato chiesto (e a continuare a farlo, perché a parte quel particolare di essermi innamorata nell’anno più assurdo dell’ultimo decennio sto continuando a seguire tute le richieste, pure sceme, che sono state fatte) mi sono un po’ stufata di non dire quello che penso perché non è il momento.

Quindi da oggi si torna a reclamare.

D’altronde questo è un ufficio reclami.

Se non vi sta bene la porta è lì, come al solito.

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