Sono giorni strani.
Ho cominciato un lavoro di cui non ho ancora parlato, anche perché la sua peculiarità è che non resterà né lo stesso né nel luogo dove mi trovo ora.
La cosa sicura è che è un lavoro precario come al solito ma un po’ più lungo del solito mese più proroghe (mica può sempre andare come lo scorso anno che mi ritrovo un contratto di sei mesi e un rinnovo di 7, o poco meno, siamo seri).
Scado a fine giugno e forse mi prorogano o forse no. In questo momento è la cosa che mi preme di meno, lo so che non ci avreste mai creduto ma in questo momento preciso la questione economica è la meno pressante.
Mi preme quello che succede in questo posto. È un lavoro con un contratto della sanità pubblica, con uno stipendio decente e con un orario che non ho mai visto prima.
È ovviamente un contratto in somministrazione, perché una delle poche cose che so per certo è che per un indeterminato nella sanità pubblica devo vincere un concorso. Per un indeterminato senza vincere un concorso bisogna sempre sperare nella sanità privata. Un po’ come per le cure in tempi brevi in Lombardia.
Però ormai ci ho fatto la pace, con questo fatto di non poter mai nemmeno vedere col binocolo un indeterminato. Quindi va bene così. O ce lo facciamo andare bene, che non è la stessa cosa ma almeno non ti crei quelle aspettative antipatiche che quando non vengono attese ti lasciano un senso di frustrazione che levati
Preferisco concentrarmi sul lavoro che sto facendo e che non è nemmeno quello che andrò a fare tra un paio di mesi (forse, chissà, non so ancora niente, scopro cose di settimana in settimana). Ora come ora sto facendo un lavoro di back office.
Una roba che mi sta dando la reale dimensione della mancanza di medici di base nella Regione di eccellenze (Formigoni, lasciatelo dire, il tuo concetto di eccellenza ha dei serissimi problemi, e non solo nel pubblico).
Una roba che mi fa sentire contemporaneamente in due film.
Uno è Il grande cocomero, infatti al piano ammezzato, tipo a una scala di distanza, ci sta psichiatria e a volte sono tentata di fermarmi li perché sarebbe il posto più consono per come mi sento in questi giorni (va detto, la sensazione non riguarda solo il lavoro, ma ne abbiamo già parlato fin troppo, o meglio io ve ne ho parlato e voi 23 lettori che ormai siete aumentati avete subito).
Magari uno di questi giorni mi trovo davanti Castellitto in camice bianco. Quando era giovane, guardabile, ascoltabile e materassabile.
L’altro film è Brazil. Che in effetti ho visto un sacco di tempo fa ma mi ha lasciato questa immagine di un corridoio degli uffici della burocrazia dove un sacco di gente va avanti e indietro e non ci capisce un cazzo.
E anche qui. Magari un giorno mi trovo davanti De Niro giovane e materassabile. Sì, ho capito. Sono vecchia. Ieri sera ho rivisto Sleepers e pensavo che tra Brad Pitt giovane e De Niro non più giovane io mi sarei portata a letto De Niro. Ma mica solo ieri sera. Pure quando a 21 anni l’ho visto al cinema. Niente, sono sempre stata vecchia.
Insomma sono in un ufficio di quelli che nella vita non mi capiteranno mai più. Purtroppo.
Non ho mai riso così. Non “tanto”, perché ho riso parecchio pure lo scorso anno, alla fine.
Non ho mai riso di risate così liberatorie. Ah, il tutto succede mentre si lavora, che magari qualcuno pensa che ridere in ufficio sia una distrazione. Non produci abbastanza.
Io sono in formazione, sto lavorando mentre mi spiegano cose, e cazzo, ho gente che mi spiega cose di continuo. È una formazione in itinere con momenti di ilarità. Ripeto. Non succederà più e lo so già ma non ho mai avuto così tanto bisogno di ridere delle cose sceme, quindi finché dura lo faccio.
Oggi però è successa anche una cosa che mi ha fatto piangere, fondamentalmente perché più invecchio e più mi rammollisco.
Oggi abbiamo avuto un cittadino che aveva un disagio grosso come una casa. Gli hanno rubato qualsiasi cosa. Portafogli. Documenti. Tessera sanitaria. Bancomat. Portafogli. Cellulare.
Cittadino fuori provincia. Addirittura all’estero negli anni precedenti. Una di quelle cose per cui non si poteva fare nulla. Infatti gli ho detto ‘se non ti danno i tuoi soldi in posta vienimelo a dire’.
Non so mica cosa mi è preso. Ma era un ragazzo solo a Milano che non poteva contare su nessuno perché ha la famiglia a sud, senza un amico e in balìa della burocrazia, che quando vuole essere stronza fa le cose per bene.
Quindi a un certo punto della mattina è tornato, perché non gli hanno dato i suoi soldi in posta. Voi direte ‘giustamente’ e io invece dico anche un po’ fanculo. Perché è una roba che mi manda ai matti e un giorno ne parleremo. Non oggi perché oggi è una giornata particolare.
E quando è tornato ho fatto l’unica cosa che potevo fare. Gli ho dato dei soldi che avevo nel portafogli. Non tanti perché non giro con troppi soldi ma nemmeno pochi per una che è eternamente precaria. Sì, perché va bene che non sono preoccupata per la questione economica, al momento, ma non ho ancora sposato un milionario.
E se non erano pochi per me figuriamoci per lui.
Poi sapete come fa la gente che è in difficoltà. Non vuole aiuto. Pensa che sia disdicevole. Una volta lo pensavo anche io. Poi ho dovuto cambiare idea.
Certe volte devi per forza farti aiutare. Perché certe volte sai perfettamente che la persona che hai davanti e ti dice ‘ci siamo passati tutti’ c’è passata sul serio.
Oggi la persona che c’è passata sul serio ero io.
Oggi ho anche capito che quella cazzata che ogni tanto ripeto, che nessuna buona azione resta impunita, è vera.
Perché prima o poi sarai tu nella condizione di restituire una buona azione e se non sei l’anello di congiunzione tra l’immondizia e il cestino che la contiene, restituirai un po’ delle buone azioni ricevute.
Che poi mi tocca sfatare un mito, tipo quella storiella che fare qualcosa di buono ti fa bene.
Io sono conscia di aver fatto una cosa buona oggi, ma la sensazione di non aver fatto abbastanza, perché alla fine la mia cosa buona di oggi non ha risolto un problema, è tutta lì, ed è diventata frustrazione.
Non basta la gratitudine momentanea a farla passare.
Perché io con questo senso di non aver potuto fare abbastanza ci passerò il tempo. Mi tornerà su all’improvviso come i peperoni mal digeriti quando meno me lo aspetto.