Michela Murgia un po’ afosa, non ventilata

Quando a maggio il mondo, di cui faccio parte incidentalmente anche io, ha saputo che a Michela Murgia mancavano pochi mesi a causa di un carcinoma ai reni al quarto stadio, ho deliberatamente evitato l’argomento. Per essere precisi ho provato a farlo, ma in una chat di amiche lettrici mi è arrivata una domanda sulle posizioni di Michela circa Hamas, e ho deciso che non avrei più discusso le posizioni di Michela su nessuna questione a meno di non essere a tu per tu con il mio interlocutore.

Non ero in una chat di persone ostili, anzi. Ma ho capito di non essere in grado di affrontare nessun argomento che toccasse le opinioni di Michela su nessun argomento su cui si era ampiamente espressa in passato, almeno non in quel momento.

Non è difficile capire perché. Ho conosciuto Michela, non l’ho semplicemente letta sui libri, sui giornali che spesso riportavano le sue opinioni senza contesto con intento da autentici bulli. Non lo dico a caso. Lo dico con cognizione di causa. In questi anni in cui abbiamo potuto leggere le opinioni di Michela Murgia in pubblico non c’è mai stato un momento in cui i suoi interventi si limitassero a uno slogan di poche frasi. Michela aveva una precisione chirurgica per le parole, non le usava a caso, basterebbe leggere uno dei suoi post ancora visibili su facebook, nella sua pagina, per capirlo. Certo, si può sempre non essere d’accordo con le sue opinioni, ma non si può dire che non le abbia sviscerate in modo comprensibile.

E io a volte non ero d’accordo con quello che diceva in pubblico. Il mio privilegio era poterglielo dire in privato. Via messenger.

Ho una chat che inizia nel 2009, quando Michela creò un profilo facebook per avere un accesso alla sua pagina, con cui ci scrivevamo dei botta e risposta. Non ricordavo nemmeno io di quante cose abbiamo parlato in privato. Ricordo meglio le mail che ci siamo scritte prima, nel periodo in cui Virzì stava girando o forse aveva appena finito di girare Tutta la vita davanti, tratto da Il mondo deve sapere.

Io ho conosciuto Michela perché aveva scritto un libro che mi riguardava, un libro sul mondo dei call center da cui ancora oggi cerco di scappare in qualche modo ma dove ogni tanto mi ritrovo ancora a lavorare. Conoscevo e conosco bene quel mondo e conoscevo e cercavo di fuggire dal tipo di call center che ha raccontato lei. Io per esempio non ho mai dovuto lavorare in un call center che procura appuntamenti per i venditori Kirby, proprio perché sapevo come funziona quel tipo di lavoro.

All’epoca eravamo due persone ancora precarie, che incidentalmente sapevano scrivere. Lei molto meglio di me, e non mi riferisco semplicemente alla questione formale. Michela aveva dei contenuti straordinari.

Oltre alla conoscenza del mondo precario, data dall’aver fatto qualsiasi tipo di lavoro prima di diventare scrittrice, aveva una conoscenza profonda della fede e della teologia. Credo sia stata l’unica persona, tra quelle che ho conosciuto nel mondo della cultura e dell’editoria, a capire i miei dubbi sul cattolicesimo. Durante una delle discussioni in chat mi ha spiegato qualcosa sulle lettere di San Paolo e la differenza tra il linguaggio usato con i romani e i tessalonicesi, che all’epoca non avevo afferrato, mi ci sono voluti i 48 anni per arrivarci.

Mi pare perfettamente inutile nominare l’apporto dato alle lotte femministe degli ultimi anni, è sotto gli occhi di tutti. In questo caso io ero una tabula rasa, essendo cresciuta con la seria intenzione di non essere femminista per molto tempo.

E anche qui.

Senza sapere che potevo contare su una Michela Murgia, una persona con cui potevo non concordare ma che non si sarebbe mai sognata di sbattermi la porta in faccia solo per questa ragione, forse avrei continuato a vedere il femminismo come quella cosa strana che mi avevano presentato un giorno alla Libreria delle Donne in via Dogana a Milano, eoni fa: davanti alla mia domanda, sicuramente molto ingenua, “perché una libreria solo delle donne?” mi risposero “se lo chiedi è perché non sei ancora pronta”. Ecco, era stata una frase così respingente, così poco disposta a spiegarmi cosa mi mancava per essere pronta, che per un sacco di tempo non ho voluto sentire parlare di femminismo.

Michela ha contribuito a costruire il mio bisogno di essere femminista senza mai pronunciare esplicitamente la parola femminismo in nessuna delle nostre discussioni private. Mi bastava la sua presenza e la modalità con cui venivano recepite le sue opinioni.

Capivo perfettamente da sola che le critiche feroci che arrivavano non tanto alle sue idee quanto alla sua persona non sarebbero mai state rivolte a un maschio. Critiche per un corpo non conforme, per il non essere mai accondiscendente, per i suoi modi. Critiche che arrivavano da uomini e donne, in questo Michela era trasversale.

Michela per me è stata una mentore senza nemmeno sapere di esserlo. Non l’ho capito nemmeno io fino a poco tempo fa.

Ci siamo viste poche volte, mentre vivevo a Roma. Un giorno mi ha portata a mangiare quello che per lei era il miglior panettone sulla faccia della Terra. Era cascata male perché ho cominciato ad apprezzare il panettone molto tardi. Di quel pomeriggio ricordo molto bene una passeggiata lunghissima al Rione Monti, mentre lei mi raccontava il lavoro a Quante Storie.

L’ultima volta che ci siamo viste è stato per caso, al Festival della Letteratura di Mantova, ed è stato l’incontro migliore. Mi ha riconosciuta lei, perché come sanno i miei 23 lettori che mi conoscono da una vita quando cammino per strada sono concentrata sempre su qualcosa, non vedo la gente che mi passa davanti, tendo a cercare di schivarla.

Quel giorno mi ha vista, l’ho riconosciuta (perché c’è anche il rischio che io non riconosca le persone, quando le incontro per strada, non è cattiveria, è che sono sempre e comunque per i fatti miei quando mi incontrate per caso), e lei si è avvicinata e mi ha abbracciata come se fossimo state amiche da sempre, in un modo con cui io non ho mai abbracciato nessuno. Si capiva che era contenta di vedermi, cosa di cui non mi sono mai data una spiegazione, ma che resta uno dei miei ricordi più belli in assoluto. Non solo di Michela Murgia, ma di qualsiasi persona con cui abbia mai condiviso anche solo un po’ di opinioni in chat.

Ed è quello che racconto, e che racconterò sempre di Michela, tutte le volte che mi capita e mi capiterà di parlarne a quattr’occhi. Era quella capace di venirti ad abbracciare come se fossi una persona che le mancava moltissimo, anche dopo anni, così, senza preavviso.

(ho parlato di Michela Murgia parlando di me, lo so perfettamente. Ma questo è il mio ricordo di una persona cara che è mancata, e noi esseri umani facciamo questo, dopo le esequie: parliamo dei nostri morti, perché abbiamo delle memorie con loro che li rendono ancora presenti. Per tutto il resto ci saranno anni di tempo. Adesso per me è il momento del lutto)

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