Le parole che non avrei voluto dirti*

Quando Giammarco mi ha chiesto di scrivere il ricordo di mia madre, “perché tu sai scrivere”, mi è venuta l’espressione del “Ti te set scemo”.

Da quando ero adolescente ho cercato di scappare da mia madre in tutti i modi, facendo tutte le cose che lei non avrebbe mai capito, e arrivando a mettere 600 chilometri di distanza tra noi.

Poi ci ho pensato meglio. E mi sono ricordata che ho parlato spesso di mia madre, direttamente e indirettamente.

Senza nominarla ne parlo quando scelgo i miei personaggi femminili, e sono tutte donne che con la loro madre hanno un rapporto conflittuale, in eterna ricerca di risoluzione nell’arco della storia. Sì chiama arco di trasformazione del personaggio, in sceneggiatura. Il personaggio si evolve e cresce. Matura.

È facile farlo sulla carta. È più difficile farlo nella vita di tutti i giorni perché non puoi barare con le ellissi temporali.
Se hai uno scazzo lo devi affrontare, non puoi cambiare scena.

Nella vita il modo migliore per affrontarlo, a volte, è proprio andarsene e guardare le cose da lontano.

E guardando mia madre da lontano ho fatto pace se non con la madre almeno con la donna che è stata.

Ora, magari chi l’ha vista negli ultimi anni e non l’ha conosciuta tempo fa non può saperlo, ma prima che i dolori articolari si mangiassero la sua lucidità, mia madre è stata una persona attiva mentalmente e fisicamente.

La mamma camminava. Non aveva la patente, come me, quindi era giocoforza uscire di casa a piedi e spostarsi coi mezzi. E ho una memoria molto precisa di lei che ci porta ovunque a piedi. Dai nonni in via Rasori, per esempio. O a tutte le attività sportive che abbiamo praticato da bambini. O in tutte le chiese dei posti dove siamo stati in vacanza, Roma inclusa. Tralasciamo il particolare che Roma non equivale a una vacanza ma a un tour de force, ma è un’altra storia.
Quindi fin da bambina io camminavo perché così faceva mia madre.

Mia madre non è stata solo una madre. È stata prima di tutto una figlia e non ha smesso di esserlo in nessun giorno della sua vita. Lo so perché quando aveva dei dolori molto forti chiamava la nonna, che non c’è più da tanti anni ma evidentemente non se n’è mai andata.
So per certo che le mancava anche il nonno, che manca anche a me, e diciamo che sono piuttosto sicura che adesso sia in un posto dove ci sono entrambi. O meglio. Non ci credo ma ci spero. Lei ci credeva, quindi sarà certamente così.

Mia madre è stata una donna nata in una famiglia che sulla carta non aveva i mezzi per farla studiare e che nonostante questo invece di fare la sarta come avrebbe voluto una certa tradizione, se sei povero vai a fare un lavoro manuale, ha frequentato le scuole, il famoso avviamento voluto dalla Riforma Gentile, ha imparato la stenografia e la dattilografa e a far di conto e ha cercato un lavoro di ufficio.

E lavorare le piaceva. So per certo che se avesse potuto continuare a lavorare sarebbe stata molto più serena. Ma era una donna nata nel 1937 con tutta una serie di barriere mentali e sociali, e quando è diventata madre non sarebbe stato possibile immaginare una tata che si prendesse cura dei suoi figli. O magari per lei non sarebbe stato pensabile . Era difficile chiederle queste cose.

Mia madre è stata una donna molto bella. Lo so perché ci sono le sue fotografie di quando era giovane.
Ed era una donna a cui piacevano le belle cose. Le piaceva l’arte, soprattutto quella figurativa. Non so se avrebbe apprezzato certa arte contemporanea che a me piace molto anche quando non la capisco.

Mia madre non aveva studiato ma leggeva. Negli ultimi anni, quando non si riusciva più a farla uscire di casa per via dei dolori alle gambe, le ho comprato un Kindle, l’ho collegato al mio, e le ho fatto leggere gli stessi libri che leggevo io.
Lo ha fatto.
Nonostante non fosse una persona particolarmente informatizzata mia madre si leggeva i libri di gente che manco sapeva che esistesse o che grande personalità fosse, su questo coso che a volte cambiava pagina o libro senza che se ne rendesse conto.
Ma leggeva. Ci si addormentava sopra. E negli ultimi anni ha letto più di me.

Potrei dire tante altre cose ma alla fine quello che conta è che mia madre è una donna che ha vissuto, ha superato i grandi cambiamenti epocali tra due secoli difficili, ha visto la guerra anche se da bambina, ha visto la ricostruzione e ha visto tutto quello che c’è stato in Italia, a Milano, meglio ancora, in tutto questo tempo.
E alla fine della sua vita si è addormentata sulla sua poltrona e non si è più svegliata.

Ed è la cosa migliore che può capitare a tutti noi.

*il 9 gennaio è mancata mia madre. Mi hanno chiesto di scrivere il mio ricordo per leggerlo durante la funzione. Se non eravate al funerale vi siete risparmiati la mia incontinenza da parola scritta alla fine di una funzione comunque molto bella e dove si respirava molto affetto. Se c’eravate colgo l’occasione per scusarmi delle troppe parole.

Cose molto personali.

È una giornata un po’ così. Sono successe un sacco di cose nel mondo, persino una crisi di governo con dimissioni rifiutate.

Eppure.

Oggi ho saputo che c’è una bambina in più sulla Terra.

Sai quando ti svegli, apri whatsapp, e improvvisamente trovi la foto di una bambina appena nata?

Quelle cose che ti lasciano senza parole pure se sai che deve succedere.

Ecco, oggi è successa questa cosa.

E io prima di scrivere cose come auguri, congratulazioni, quello che dici quando succedono queste cose, ho cominciato a piangere.

In realtà avevo già cominciato stanotte prima di saperlo, quindi ho continuato, in un certo senso.

Sono un po’ di giorni che la mia testa ogni tanto va in tilt, e quando vado in tilt rimetto un po’ a posto i pezzi.

Quando rimetto i pezzi a posto c’è sempre quello che manca e manca da una vita.

C’è quella cosa che mi manda sempre un po’ in bestia quando a qualcuno viene in mente di chiedere se ho figli.

Non li ho. Non è stata una scelta. È successo che non è mai stato il momento per farli, perché ero sola o perché l’uomo che amavo in quel momento non li voleva.

Dicono ‘puoi fare un figlio anche da sola ‘. Certo. Peccato che per me i figli si crescono almeno in due. Per me ci vorrebbe un villaggio, per crescere un figlio, persino due sono troppo pochi ma sono il minimo indispensabile.

Ma pure se credessi a questa roba, che i figli si possono anche fare e soprattutto crescere da sole, sono precaria da una vita.

Ora capisco che per secoli c’è stata gente che ha fregato il mondo con la storia della provvidenza. Manzoni con la provvidenza ci ha scritto un romanzo. Per dire.

Ma la provvidenza per tirare su un figlio non basta. Magari in due si riesce a guadagnare abbastanza, e torniamo al punto di prima. Da sola dove dovevo andare?

Quindi non ho fatto figli pure se li volevo. Non li ho fatti quando era il momento e la cosa in realtà va bene così, il più delle volte. Ho i nipoti acquisiti. Ho le amiche che mi odiano perché o loro figli mi si addormentano in braccio, e io mica lo sapevo che ho pure questo superpotere, prima di arrivare a 40 anni.

Il più delle volte va bene così e siamo tutti contenti.

Poi arriva una bambina nuova sulla Terra.

E io ho quel cinque minuti di ‘li avrei voluti ‘. E c’è quella roba che non va né giù né su.

Poi passa, eh, perché non c’è niente di meglio dei bambini che vengono al mondo nella mia personale scala di cose che valgono la pena anche da vedere da spettatori.

Quella roba alla fine va giù.

Fino alla prossima volta.

Del mio nuovo lavoro e di altri demoni #aggiornamenti

Dove eravamo rimasti? H già. Al “chiedere è lecito e rispondere è cortesia”.

Avevo chiesto ai miei ventitré lettori (più alle lettrici, in effetti) di controllare tra i prodotti di make-up che non usano e tra le varie creme viso, insomma tra il trucco e parrucco, le cose che non usano più o che non useranno mai e stanno lì chiuse in attesa di essere buttate.

Sono rimasta stupefatta dalla risposta ricevuta.

In senso positivo.

Intendiamoci, so di avere amiche generose che non si fanno pregare, magari coi loro tempi ma mi hanno consegnato e mi stanno tuttora consegnando cose che puntualmente porto a Casa Alba.

Tra l’altro cose belle e costose. Ci siamo trovate creme Shiseido, trucchi di Diego Dalla Palma, smalti (gli smalti. Non avete idea di quanto apprezzino gli smalti. Certe sere ci mettiamo li ad aspettare il momento di andare a dormire con un gruppetto di donne di età diverse che fanno la manicure. A volte partecipo pure io, ma non troppo che devo comunque mantenere il ruolo).

Quello che è stato sorprendente è che una ragazza amica di un mio contatto ha raccolto una serie di prodotti tramite la Casa delle Donne di Terni, se li è caricati mentre passava a Milano per un viaggio di piacere. Abbiamo fatto uno scambio equo un pomeriggio alla pinacoteca di Brera, lei mi ha portato prodotti per il makeup e io le ho spiegato chi era Bernardino Luini. In effetti avrei potuto spiegare meglio.

Altri contatti hanno chiesto se fosse possibile fare una raccolta di fondi per una spesa di prodotti che ci servono. Sto ancora studiando la maniera perché deve risultare una donazione, ma ammetto che non avrei mai pensato che anche gente lontana potesse voler contribuire.

Le mie amiche di #youhatewedonate attendono di sapere come possono rendersi utili.

Confesso che l’ultimo mese è stato fisicamente ed emotivamente faticoso (erano anni che non lavoravo con questi ritmi e soprattutto senza uno stacco di 48 ore consecutive e si sono accavallate cose spiacevoli, ho un po’ la testa per aria) e che sto ancora riflettendo sul come permettere a chi lo ha chiesto di darci una mano.

Ma è stato bello pensare che nessuno ha trovato la richiesta scema o superficiale. In fondo ho chiesto dei prodotti di bellezza.

Mi sono anche resa conto di una cosa, in questi due mesi.

La gente spesso finge di essere vomica e stronza. Perché appena le dai un modo concreto di rendersi utile si attiva.

Ecco, forse abbiamo più bisogno di motivi per essere gentili che motivi per essere incazzati. Se ci danno dei motivi buoni per essere gentili diamo il meglio di noi.

Intanto io vi dico che se volete continuare a essere gentili tra le cose che ci servono più spesso ci sono le creme corpo, gli smalti (ma tra poco avremo finito lo spazio per tenerli), creme viso per pelli delicate e sensibili e soprattutto giovani, perché le antiage abbondano ma le ragazze sotto i trent’anni sono sprovviste, creme per i piedi (queste donne sono fuori per ore e fanno chilometri e chilometri, roba che i nostri contapassi impallidiscono).

E burro cacao e creme mani.

Per il resto va bene qualsiasi cosa non usiate e non sia potenzialmente orribile o scaduta.

Per ora seguono ringraziamenti a Michela, Marta e la Casa delle Donne di Terni, Paola, Federica, Oriella (due volte).

Man mano aggiorno.

Grazie a tutte e ricordate che se volete passare a vedere il centro dalle 17 alle 19 durante l’accoglienza potete farmi un fischio. Così vi faccio vedere come stanno diventando brave a farsi le unghie!

A proposito di #fertilityday

È un po’ tutto il giorno che la mia bacheca facebook è impestata di discussioni e immagini della campagna promossa dal Ministero della salute con a capo la Ministra Lorenzin (googlate, se non sapete ancora chi è. Non fatemi cercare le sue schifezze, per cortesia) per la promozione di una gestione responsabile della capacità riproduttiva delle donne. Sì, non è proprio così, che recita la campagna, però è quello che ho capito io.

Che di suo non sarebbe stato nemmeno così terribile, non fosse che a leggere l’inizio delle 137 pagine messe a disposizione dal Ministero per questa iniziativa sembra di trovarsi davanti a un testo redatto direttamente da qualche responsabile del MinCulPop di fascista memoria. E non scherzo.

Quando ho letto le prime didascalie ho pensato alla battaglia del grano, ci mancava un Mussolini che invece di mietere il grano in mezzo al campo si preparava a ingravidare una serie di donne felici di donare la propria fertilità per il bene della Patria.

Ecco, questo è un problema, per dire. Non so se incazzarmi o ridere di questa campagna, un po’ mi fa incazzare ma un po’ mi fa venire voglia di percularla in pieno stile Fascisti su Marte.

Epperò non è una cosa su cui scherzare troppo, considerando che a un problema serio come la natalità infantile sempre più bassa e l’età sempre più avanzata delle coppie che riescono a trovarsi in condizioni decenti per pensare di mettere al mondo molto spesso un solo figlio (perché poi l’età che aumenta è quel che è, e lasciando perdere la questione della fertilità il vero problema è che i figli crescono con genitori magari mentalmente giovani, ma con corpi così avanti negli anni da non riuscire a star loro dietro proprio fisicamente. Credetemi, so di cosa parlo. I miei genitori sono di una generazione presessantottina, e sono comunque stati due precursori della procreazione in età non più giovane. Si parla di persone che dovrebbero avviarsi verso il ruolo di nonni comodamente costrette a rimettersi in gioco non tanto da un punto di vista mentale ma fisico come genitori. Non è semplice. Si fa, eh. Tutto si fa. Ma non è semplice. E se non credete a me parlatene con qualche primipara che si trova con figli piccoli dopo i 40. O con uomini che sono diventati padri dopo i 45. Sono contenti di essere genitori, e ci mancherebbe, più voluto di così un figlio non può essere, ma non è una passeggiata di salute. Considerando che non lo sarebbe stata nemmeno venti anni prima, facciamo che ci siamo capiti) il Ministero riesce a rispondere solo con un ennesimo tentativo di pressione sociale esercitato, al solito, sulla donna.

Perché è chiaro che si parla della fertilità femminile. Perché in ogni pagina si sente l’esaltazione nemmeno troppo velata del ruolo di mamma. Perché ci sono di nuovo tentativi di demonizzare la procreazione assistita, roba anche vergognosa. Perché non c’è un cenno che sia uno sulle politiche realmente necessarie per poter parlare in modo serio di possibilità di mettere al mondo figli anche senza aspettare una stabilità economica sempre più distante nel tempo: asili nido accessibili a tutte le fasce economiche e soprattutto diffusi capillarmente sul territorio italiano, reali misure a protezione delle donne lavoratrici che decidono di avere figli, politiche di sostegno previste anche per le tante libere professioniste, ma politiche vere, non solo il sussidio economico o le settimane di maternità obbligatoria che potranno essere accumulate per il calcolo della pensione. E chi la vedrà la pensione, di questo passo?

No, quel che serve è garantire alle future madri una sicurezza, che è quella di poter lasciare i propri figli in luoghi sicuri e raggiungibili soprattutto durante i primi mesi, sapere che c’è qualcuno di fidato che se ne prende cura, così da farle lavorare tranquillamente. Anche pensare a nidi aziendali diffusi poteva essere una buona idea, porca miseria, perché nei tabacchifici del ventennio fascista, dove lavoravano soprattutto donne, erano previsti i nidi e noi non siamo nemmeno in grado di pensare a misure di questo tipo?

Ovviamente queste cose, che sarebbero utili, necessitano di soldi. Che o non ci sono o per qualche motivo non si è disposti a spendere per una cosa del genere che garantirebbe davvero una diminuzione della disparità tra uomo e donna nella società italiana (a proposito, un’altra bella idea sarebbe cominciare a mettere in testa a tutti, madri, padri, figlie e figli, per tacer dei nonni e delle nonne, che i figli si fanno in due e si curano in due, non è che la donna è deputata alla cura amorevole dei figli e quindi è lei che li nutre quando finisce il periodo dell’allattamento al seno, ove presente, che si alza di notte, che è responsabile della loro pulizia, che si occupa di tutto quello che esiste di materiale, incluso stare a casa dal lavoro quando sono malati, ma esistendo anche un padre è bene che ci si divida questo aspetto equamente. sì, lo so che Costanza Miriano non sarà contenta, ma a noi di quel che pensa Costanza Miriano non ci frega un cazzo. Il problema è che siamo sempre in pochi, a non interessarcene. Ma vogliamo mettere la tranquillità psicologica con cui una donna potrebbe pensare di mettere al mondo un figlio anche prima dei 35 anni se avesse anche questo aiuto mentale dalla sua?)

Quindi è più facile organizzare campagne a favore della fertilità, sovraccaricare le donne di una responsabilità che non è più solo individuale ma collettiva, e siamo tutti contenti. Abbiamo il capro espiatorio per eccellenza.

E insomma, io su questa cosa credo che dovrò tornarci, nei prossimi tempi, perché a dirla tutta l’idea che non solo non mi viene ancora riconosciuta una completa autonomia nelle scelte che mi riguardano, ma addirittura qualcuno vorrebbe stabilire che la mia fertilità addirittura è un bene comune su cui chiunque ha voce in capitolo, un po’, mi manda ai matti.

Se avessi 20 anni starei andando a spaccare i vetri alle finestre di Beatrice Lorenzin. E non sto scherzando.

 

Aggiornamento

Qui potete leggere una lettera aperta alla Ministra, scritta da un gruppo di psicologi e psicologhe, che spiega bene il problema della campagna promossa nei termini scelti.

Frivolezze e altre robe da donne*

Questo post è targhettizzato. Può risultare noioso per chiunque, uomo o donna che sia, non abbia mai dovuto intraprendere una caccia grossa alla ricerca di accessori da abbinare a vestiti per un matrimonio. Se non appartenete alla categoria, potete saltarlo. Non vi biasimerò.


Maggio e giugno sono mesi pericolosi. Per le donne munite di amiche, intendo.

Insomma, più pericolosi degli altri mesi dell’anno in cui esci per il normale shopping alla ricerca di roba indefinita che però capirai quanto ti sarà indispensabile non appena vi avrai posato gli occhi sopra (per me sono le calze, in genere. Lunghe, corte, parigine, collant… Però non le metto mai tra gli acquisti da shopping, sono diventate un po’ come i libri. Una eventualità da tenere in considerazione), o in quei due  periodi che caratterizzano i saldi di fine stagione, quando decidi di svaligiare i negozi alla ricerca del cappotto che costava decisamente troppo per le tue tasche. Sempre che sia rimasta la tua taglia. E la mia, di taglia, quest’anno abbondava probabilmente grazie alla crisi.

Allora, stabilito che tutti i mesi degli anni per le donne sono pericolosi, quando si tratta di shopping, vado a spiegare perché maggio e giugno sono potenzialmente più pericolosi.

Se la donna in questione è dotata di amiche in età da matrimonio (e ormai l’età da matrimonio, dopo i 25 anni, può capitare in qualuque anno, quindi nessuna si senta esclusa. L’unico modo per schivarla è recidere le amicizie femminili. E pure i parenti, già che ci siete. Non ne avete molta voglia, vero?) i mesi di maggio e giugno possono diventare un incubo.

Tralasciando quelle matte che decidono di sposarsi il 7 dicembre in piena Milano (ciao, Silvia!) e che costringono a fare ricerche straordinarie, perché si sa che dicembre non è pensato come mese per matrimoni, al massimo per veglioni di San Silvestro, le amiche normali in genere privilegiano i mesi caldi, per invitarvi al giorno più bello della loro vita.

E qui, passato il momento di felicità iniziale (almeno, l’ipotizzabile momento di felicità iniziale. Io sono sempre felice quando le mie amiche si sposano. Mi sembra una bella cosa, che due persone decidano di sposarsi, magari di mettere al mondo dei figli… Eh? Come dite? I divorzi? Insomma, a parte che nella mia bre… modesta esistenza ho assistito a un bel po’ di matrimoni e giusto due sono finiti male, ma sbagliare è umano. Non c’è nulla di sicuro nella vita. Non per questo due persone che si sposano con cognizione di causa dovrebbero evitare di organizzare un matrimonio. Certo, quando non hanno cognizione di causa cambia il discorso, e pure lì non abbiamo a disposizione nessun maya a dirci come andranno le cose dal giorno del matrimonio in poi), cominciano i dolori.

Anzitutto. La fatidica domanda cosa mi metto?

Capito perché mi rivolgo principalmente alle donne, in questo post? Quanti uomini eterosessuali conoscete, in grado di porsi per mesi la domanda cosa mi metto per il matrimonio di Tizia e di cominciare nel contempo la spasmodica ricerca di un abito per la cerimonia?

Abito che nel mio caso, per il prossimo matrimonio, è già nell’armadio. Sì, l’ho già messo. Al matrimonio di mio cugino. Tre anni fa. Mi sta ancora bene. Soprattutto non l’ha visto nessuna delle mie amiche (ancora!) che presenzieranno a questo matrimonio. E pazienza se magari non è di moda. A me piaceva, l’ho comprato per quello. Di colore blu, così non rompe nemmeno troppo le palle per la ricerca degli accessori.

Oh, non è che siccome ho l’abito nell’armadio ho riposto nello stesso armadio la ricerca di un abito nuovo. Sapete com’è, una magari lo fa con meno assillo, tanto ha un vestito buono da usare. Però si guarda intorno. Guardarsi intorno senza assillo è la cosa più appagante per la gente che va in giro a fare shopping. Pure virtuale. Non hai vincoli, non sei obblgata a confrontare nulla di nulla per capire come si abbina…

I dolori veri magari capitano quando compri per un matrimonio un vestito color petrolio (che detto tra noi è un colore bellerrimo) con una cintura dorata che ti vincola nella scelta degli accessori. Ogni riferimento a Claudia non è puramente casuale.

Ma non è, dicevo, il mio caso.

Il mio caso invece è quello in cui, dopo il vestito, ti dovresti ingegnare nella ricerca degli accessori. Che devono per forza essere chiari. Intanto si tratta di un abito senza maniche, quindi necessita perlomeno di un coprispalla o di una stola. Di che colore la prendiamo?

All’altro matrimonio ero andata sul un color ocra, se si chiama così. Però stavolta volevo cercare qualcosa di nuovo. Ho trovato una stola sul rosa pallido. Bella. Con un girocollo di quarzo rosa. Bello pure quello. Mi manca il bracciale.

Problema. La cerimonia si tiene il 26 maggio, a Milano, ma il pranzo si fa in direzione prealpi varesine. E per chi conosce le prealpi, non stiamo parlando di luoghi dove non è possibile che faccia un po’ di freddo a fine maggio. Già a fine maggio non si è nemmeno sicuri che non piova, a Milano. Ma quello è un dettaglio secondario. Il problema vero è il clima prealpino.

Insomma, sopra la stola che caspita ci metto? Il soprabito? Il cappotto? La pelliccia? Lo scafandro?

Appurato che è un problema da risolvere, lo mettiamo da parte.

Continuiamo con uno dei momenti peggiori della ricerca degli accessori. Le scarpe.

Oh, le scarpe io in realtà le avrei già trovate, vanno solo provate. Sono un paio di Camper. E se avete in testa le Camper casual o sportive, ecco, cancellatele. Perché ogni tanto la Camper, soprattutto negli ultimi anni, fa delle scarpe che per una cerimonia sono la morte vostra ma non dei vostri piedi, per dire quanto sono comode. Ne ho comprate un paio per il matrimonio invernale di cui sopra. Le ho tenute ai piedi per 12 ore consecutive. I miei piedi alla fine della giornata non solo non risentivano di nessun problema come vesciche, rossori sparsi eccetera. Avrebbero sopportato un altro matrimonio.

Quindi dite quello che vi pare. Io mi compro le mie Camper. Anche perché posso riutilizzarle, dopo il matrimonio. Mica sarò costretta a tenerle nell’armadio in attesa di una nuova occasione. Poi sono di un color beige, chiaro, che sta perfettamente sotto il mio vestito blu. A dirla tutta non starebbe male nemmeno sotto la stola rosa, ho fatto la prova.

Manca la borsa. Ma per quella conto di cavarmela velocemente. Ho una scelta tra il blu e il beige, ocra, quel che riesco a trovare. Per le borse non ho problemi. Al limite risfodero quella messa una volta sola al matrimonio del cugino.

Il vero problema, se si escludono quelli che provocheranno al mio conto corrente gli acquisti di cui sopra (cosa non si fa per le amiche?), è il tempo per andare a cercare gli accessori. Perché se a due settimane da un matrimonio ti ritrovi tappata in casa con la bronchite la faccenda si complica. Quando ci vai a cercare gli accessori?

E a parte questo, manca il regalo di nozze (per fortuna è una quota del viaggio, che risparmia l’imbarazzo della scelta e della consultazione della lista), la prenotazione dell’estetista e una gita premio dal parrucchiere.

Servirebbero altre due settimane di preparazione.

Come? I biglietti del treno? No, quelli sono lì da febbraio. L’unica cosa buona dei matrimoni è che quando ti avvertono per tempo ti puoi prenotare i biglietti del treno in anticipo, se ti sposti da una città all’altra.

Quindi ora mi resta da far passare la bronchite e mettermi a cercare tutto il resto, sapendo già che appena mi metterò a cercare il resto, il resto che mi è comparso davanti per tutti questi mesi diventerà improvvisamente introvabile.

Da queste considerazioni e da altre scambiate con amiche con poca propensione alla ricerca dell’accessorio, però, ho tratto un insegnamento. Se mai mi dovessi sposare, nella vita (e state certi che l’eventualità è molto più remota del conseguimento di una laurea non comprata da parte del Trota), ricordatemi questa discussione su facebook, di cui riporto lo stato per chi non lo può leggere causa profilo blindato:

Stavo pensando che se mai mi sposerò nella vita (e l’eventualità è alquanto remota) organizzerò una bella grigliata all’aperto come pranzo di nozze e la gente potrà venire vestita come diamine le pare. L’unica regola sarà NO STILETTO. In un prato dove si fa una grigliata mi sembra un gesto di cortesia, abolire i tacchi. Però se trovo anche un laghetto potrete portarvi anche il costume da bagno.

Eh? Cerimonia? Quale cerimonia?

(11 maggio 2012)

*Imperdonabile dimenticanza. Oggi scrivo questo post sul matrimonio e oggi si sposa Daniela. Quello è un matrimonio che non mi sarei voluta perdere ma che a causa di circostanze abbastanza sgradevoli sono stata costretta a saltare.

Se fate i bravi però uno di questi giorni vi fotografo l’invito e ve lo faccio vedere.

Intanto, auguri a Daniela e a Edoardo, o come dicevan tutti, Umberto. (Daniela sa perché)