Quando Giammarco mi ha chiesto di scrivere il ricordo di mia madre, “perché tu sai scrivere”, mi è venuta l’espressione del “Ti te set scemo”.
Da quando ero adolescente ho cercato di scappare da mia madre in tutti i modi, facendo tutte le cose che lei non avrebbe mai capito, e arrivando a mettere 600 chilometri di distanza tra noi.
Poi ci ho pensato meglio. E mi sono ricordata che ho parlato spesso di mia madre, direttamente e indirettamente.
Senza nominarla ne parlo quando scelgo i miei personaggi femminili, e sono tutte donne che con la loro madre hanno un rapporto conflittuale, in eterna ricerca di risoluzione nell’arco della storia. Sì chiama arco di trasformazione del personaggio, in sceneggiatura. Il personaggio si evolve e cresce. Matura.
È facile farlo sulla carta. È più difficile farlo nella vita di tutti i giorni perché non puoi barare con le ellissi temporali.
Se hai uno scazzo lo devi affrontare, non puoi cambiare scena.
Nella vita il modo migliore per affrontarlo, a volte, è proprio andarsene e guardare le cose da lontano.
E guardando mia madre da lontano ho fatto pace se non con la madre almeno con la donna che è stata.
Ora, magari chi l’ha vista negli ultimi anni e non l’ha conosciuta tempo fa non può saperlo, ma prima che i dolori articolari si mangiassero la sua lucidità, mia madre è stata una persona attiva mentalmente e fisicamente.
La mamma camminava. Non aveva la patente, come me, quindi era giocoforza uscire di casa a piedi e spostarsi coi mezzi. E ho una memoria molto precisa di lei che ci porta ovunque a piedi. Dai nonni in via Rasori, per esempio. O a tutte le attività sportive che abbiamo praticato da bambini. O in tutte le chiese dei posti dove siamo stati in vacanza, Roma inclusa. Tralasciamo il particolare che Roma non equivale a una vacanza ma a un tour de force, ma è un’altra storia.
Quindi fin da bambina io camminavo perché così faceva mia madre.
Mia madre non è stata solo una madre. È stata prima di tutto una figlia e non ha smesso di esserlo in nessun giorno della sua vita. Lo so perché quando aveva dei dolori molto forti chiamava la nonna, che non c’è più da tanti anni ma evidentemente non se n’è mai andata.
So per certo che le mancava anche il nonno, che manca anche a me, e diciamo che sono piuttosto sicura che adesso sia in un posto dove ci sono entrambi. O meglio. Non ci credo ma ci spero. Lei ci credeva, quindi sarà certamente così.
Mia madre è stata una donna nata in una famiglia che sulla carta non aveva i mezzi per farla studiare e che nonostante questo invece di fare la sarta come avrebbe voluto una certa tradizione, se sei povero vai a fare un lavoro manuale, ha frequentato le scuole, il famoso avviamento voluto dalla Riforma Gentile, ha imparato la stenografia e la dattilografa e a far di conto e ha cercato un lavoro di ufficio.
E lavorare le piaceva. So per certo che se avesse potuto continuare a lavorare sarebbe stata molto più serena. Ma era una donna nata nel 1937 con tutta una serie di barriere mentali e sociali, e quando è diventata madre non sarebbe stato possibile immaginare una tata che si prendesse cura dei suoi figli. O magari per lei non sarebbe stato pensabile . Era difficile chiederle queste cose.
Mia madre è stata una donna molto bella. Lo so perché ci sono le sue fotografie di quando era giovane.
Ed era una donna a cui piacevano le belle cose. Le piaceva l’arte, soprattutto quella figurativa. Non so se avrebbe apprezzato certa arte contemporanea che a me piace molto anche quando non la capisco.
Mia madre non aveva studiato ma leggeva. Negli ultimi anni, quando non si riusciva più a farla uscire di casa per via dei dolori alle gambe, le ho comprato un Kindle, l’ho collegato al mio, e le ho fatto leggere gli stessi libri che leggevo io.
Lo ha fatto.
Nonostante non fosse una persona particolarmente informatizzata mia madre si leggeva i libri di gente che manco sapeva che esistesse o che grande personalità fosse, su questo coso che a volte cambiava pagina o libro senza che se ne rendesse conto.
Ma leggeva. Ci si addormentava sopra. E negli ultimi anni ha letto più di me.
Potrei dire tante altre cose ma alla fine quello che conta è che mia madre è una donna che ha vissuto, ha superato i grandi cambiamenti epocali tra due secoli difficili, ha visto la guerra anche se da bambina, ha visto la ricostruzione e ha visto tutto quello che c’è stato in Italia, a Milano, meglio ancora, in tutto questo tempo.
E alla fine della sua vita si è addormentata sulla sua poltrona e non si è più svegliata.
Ed è la cosa migliore che può capitare a tutti noi.
*il 9 gennaio è mancata mia madre. Mi hanno chiesto di scrivere il mio ricordo per leggerlo durante la funzione. Se non eravate al funerale vi siete risparmiati la mia incontinenza da parola scritta alla fine di una funzione comunque molto bella e dove si respirava molto affetto. Se c’eravate colgo l’occasione per scusarmi delle troppe parole.